Lavoro, meritèvoli e meritòcrati
Il governo dice che il posto fisso è un valore, ma nei fatti pratica la flessibilità spinta e il licenziamento dei precari.
Giovanna, classe 1970, consegue una laurea a pieni voti nel 1995.
Successivamente, dopo un anno di borsa di studio, è titolare per un triennio di una borsa di dottorato, seguita da una nuova borsa di studio di un anno, nel corso del quale consegue il titolo di dottore di ricerca. Per l’intero lustro opera presso la stessa sede universitaria, sempre sotto la supervisione del medesimo docente.
Questi, consapevole delle scarse opportunità presso l’ateneo, nell’ultimo anno condivide con lei quella consapevolezza, invitandola ad adoperarsi per trovare sbocchi professionali altrove.
Benissimo. Nulla di più gradito a Giovanna: trentenne, appassionata, accetta entusiasticamente l’idea di cimentarsi con la mobilità flessibile.
Scientificamente molto valida, ha la fortuna, così perlomeno ritiene, di vincere la selezione per un contratto a tempo determinato di durata quinquennale presso un prestigioso ente pubblico di ricerca. Ivi intraprende una nuova attività, che non tarda a trovare appassionante anche più di quella svolta in precedenza.
Inizia progressivamente a percepire sé stessa proiettata verso orizzonti di stabilità lavorativa, stimolata anche dal fatto che, perlomeno ai suoi occhi, l’avvio del terzo millennio sembra caratterizzarsi in senso favorevole allo sviluppo del sistema nazionale di ricerca.
Finalmente il legislatore affronta il tema del coordinamento degli interventi, quindi, subito dopo un ciclo di riforme degli enti, il primo Piano nazionale della ricerca, che tocca in esplicito la necessità di sviluppare il sistema.
Giovanna dà quindi l’avvio ai lavori del «cantiere della vita».
Consapevole del proprio talento e gratificata da una comunità scientifica che glielo riconosce anche in ambito internazionale, nel corso di un lustro stabilizza i propri affetti e contribuisce alla riproduzione della specie.
Tuttavia, il mutato clima politico fa sentire i propri effetti. Il talento non è più concepito come un valore, in grado di contribuire anche allo sviluppo del Paese: esso diviene una spesa da tagliare.
Giovanna percepisce in modo chiaro la tendenza generale a restringere le opportunità di riconoscimento.
Così, in un quadro che vede una drastica riduzione della capacità di reclutamento del sistema, che nel corso di un lustro perde circa un decimo degli addetti, al contratto a tempo determinato fa seguito un assegno di ricerca.
Giovanna torna a cimentarsi con la mobilità flessibile, con un entusiasmo decisamente minore rispetto a cinque anni prima, percependo sé stessa come labile, non più dinamica.
A differenza della volta precedente non incontra pari fortuna: il settore pubblico, destinato al declino, non le offre opportunità, il mondo delle imprese non è interessato alla sua elevata professionalità. Quindi, con il pieno sostegno del compagno, inizia a offrirla fuori dei confini nazionali, risultando finalmente vincitrice di una selezione presso una prestigiosa istituzione di ricerca pubblica in un Paese dell’Unione europea.
Giovanna vive e lavora da quasi tre anni nella periferia di una grande città europea, dove ha trasferito i propri affetti, che la stessa metropoli è riuscita ad accogliere in modo altrettanto decoroso. Nonostante la norma sulle stabilizzazioni avrebbe potuto consentirle il rientro, si rifiuta d’avvalersene.
Oggi ha un’autonomia decisamente superiore a quella che avrebbe in Italia, è inserita in un gruppo ben strutturato e opera in laboratori decisamente migliori di quelli che ha conosciuto in patria.
Soprattutto, i suoi anfitrioni le hanno riconosciuto pienamente l’attività prestata, valutando come servizio non soltanto i cinque anni di contratto a termine da ricercatrice, ma anche il biennio prestato come assegnista. Rientrando dovrebbe ricominciare da capo.
Giovanna, che da oltreconfine continua a seguire le vicende nostrane, ha da poco appreso di un decreto del Governo teso a riformare la pubblica amministrazione.
Tra un po’ (forse) prenderà visione di un nuovo Piano per la ricerca (il terzo) e di nuovi provvedimenti di riordino (il terzo ciclo). Nei preamboli di entrambi troverà probabilmente declamazioni mirate al riconoscimento del merito, alla valorizzazione del capitale umano e, chissà, magari gli ennesimi annunci di azioni volte a incentivare il rientro di cervelli fuggiti all’estero.
Crediamo, purtroppo, che il suo vissuto la porterà, come altri meritèvoli, a diffidare dei meritòcrati di turno.
Ci fa piacere immaginarla accanto a noi in una delle 100 piazze in difesa della cultura il prossimo 7 novembre.
Via: www.flcgil.it
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