PREZZI E SALARI AL TEMPO DELLA CRISI

 

di Francesco Daveri per LA VOCE.INFO

I salari nel 2008 sono aumentati di un punto e mezzo più dei prezzi. Un effetto temporaneo, ma non solo. Un problema che potrebbe diventare più drammatico nei prossimi mesi, con il rischio di un peggioramento delle relazioni industriali. Se il governo ha risorse fiscali aggiuntive, è qui che bisognerebbe metterle: per difendere il potere d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie, senza pregiudicare la competitività delle imprese.

I dati Istat dicono che i salari (in euro) nel corso dell’anno 2008 (calcolando l’aumento da dicembre 2008 rispetto al dicembre 2007) sono aumentati quasi del 4 per cento (+3,8 per cento, per la precisione), una crescita molto maggiore rispetto a quella dei prezzi al consumo che sono aumentati solo del 2,2 per cento nello stesso periodo di tempo, e di sei volte più grande della crescita dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali, che sono saliti dello 0,6 per cento. Vuol dire che il potere d’acquisto di un lavoratore medio (cioè il salario di operai e impiegati al netto dell’inflazione al consumo) è cresciuto dell’1,6 per cento nel 2008. Nello stesso periodo di tempo, la componente salariale del costo del lavoro per le imprese è cresciuta del 3,2 per cento: il +3,8 per cento dei salari è stato scaricato solo molto parzialmente sui prezzi di vendita, aumentati appunto solo dello 0,6 per cento nel 2008).
Quindi i lavoratori stanno meglio rispetto a dodici mesi fa, mentre le imprese stanno peggio, nel senso che pagano di più in termini reali per i servizi del lavoro. Per questo il Corriere della Sera ha titolato allarmato: “Aumento record dei salari nel 2008, mentre la dinamica dell’inflazione è rallentata a poco più del 2 per cento”.

INSOMMA: PIÙ RICCHI O PIÙ POVERI?

C’è però un problema. Come mai i dati dell’Istat ci dicono che le cose vanno meglio, mentre, nella società italiana, esiste una diffusa percezione di impoverimento, notoriamente riassunta nella frase “molte famiglie fanno fatica ad arrivare alla quarta settimana”?
Prima di tutto, va ricordato che qualche volta la media non descrive bene quello che succede alla maggioranza dei lavoratori nell’economia. I salari sono aumentati molto nel dicembre 2008 rispetto al dicembre 2007, e in particolare in dicembre rispetto al mese di novembre 2008, perché nel mese di dicembre si sono concentrati gli effetti dell’applicazione dei rinnovi contrattuali per più di 3 milioni di lavoratori: quelli del commercio, del credito, dei dipendenti delle amministrazioni centrali del pubblico impiego e della scuola. Si è trattato di un misto di aumenti veri e propri, arretrati e indennità varie; aumenti che devono essere spalmati sull’intero periodo di validità dei rinnovi per valutarne l’impatto di più lungo periodo.
Se si guarda a cosa è successo alle retribuzioni reali negli anni successivi all’adozione dell’euro, si ottiene un quadro più equilibrato e anche, per certi versi, differente dall’opinione più diffusa. I dati dicono che, tra il dicembre 2001 e il dicembre 2008, le retribuzione contrattuali per lavoratore (i “salari”) sono complessivamente aumentate del 21,4 per cento, mentre i prezzi al consumo sono aumentati “solo” del 17,2 per cento e quelli alla produzione del 23,7 per cento. Quindi sulla base dei salari reali al netto dell’inflazione, cioè prima di considerare le tasse e i trasferimenti statali e prima di considerare la spesa per i mutui, le famiglie italiane non avrebbero ragione di lamentarsi. Soprattutto non avrebbero da lamentarsi con il settore della distribuzione che sembra anzi aver in qualche modo calmierato gli aumenti dei prezzi dei prodotti industriali. Così dice l’Istat.
Si deve quindi concludere che la percezione di impoverimento deriva da ciò che succede fuori dalle relazioni industriali e fuori dai negozi e dai supermercati, cioè nel momento in cui compiliamo la dichiarazione dei redditi e in quello in cui andiamo in banca a pagare la rata mensile del mutuo.Èevidentemente l’aumento delle tasse e dei mutui che ci fa sentire più poveri tutti i mesi, non l’ingordigia dei distributori.

SALARI E PREZZI NEI PROSSIMI MESI

L’aumento dei salari di dicembre è poi in stridente contrasto con il raffreddarsi dell’inflazione conseguente ai venti di deflazione che stanno soffiando sulle economie, in particolare su quella americana e quella inglese, dal mese di agosto a oggi soprattutto a causa della riduzione dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei servizi immobiliari. Come riporta l’Istat, da agosto a dicembre, l’indice generale dei prezzi al consumo è diminuito complessivamente dello 0,8 per cento (da 138.0 a 136.9), mentre quello dei prezzi alla produzione è sceso anche più nettamente, addirittura del 5,1 per cento, da 131.5 a 124.8. Come già osservato in passato, l’inflazione su base annua è ancora positiva a causa della rapida crescita dei prezzi, sia al consumo che alla produzione, nella prima metà dell’anno, fino a luglio incluso. Ma, se le cose vanno avanti così e la recessione entra nel vivo, la riduzione dei prezzi riguarderà un paniere più ampio di beni: riguarda già ora il 44 per cento delle nove categorie censite dall’Istat; non è quindi solo un fenomeno relativo a poche voci legate al petrolio, come la benzina, e alle materie prime. Il rischio a cui si va incontro nei prossimi mesi è quello di un peggioramento delle relazioni industriali. Da un lato le imprese, sempre più pressate dall’azzeramento dei margini sul mercato dei beni, si troveranno nella condizione di dover negoziare aumenti salariali più contenuti per mantenere la loro competitività. Ma ciò potrebbe avvenire nel momento più sbagliato, cioè quando ci sarebbe bisogno invece di mantenere il potere di acquisto dei salari per sostenere i consumi.
Ecco dunque il rebus da risolvere per il governo nei prossimi mesi. Come si fa a tenere su i consumi senza ridurre la competitività aziendale? Un modo forse c’è. Il governo dovrebbe ridurre le tasse sul lavoro e in particolare i contributi sociali. Ma, realisticamente, si possono ridurre i contributi sociali solo intervenendo sul sistema pensionistico, cioè allungando l’età pensionabile in linea con i trend demografici. Molto difficile da farsi. Ma se non ci prova un governo che ha consensi così maggioritari nel paese e una maggioranza così solida in Parlamento, chi mai potrà più provarci in futuro?


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