Resta ampia, anche dopo i provvedimenti del Governo, la platea degli “esclusi”: il punto nel volume “Flex-insecurity”, di Fabio Berton, Matteo Richiardi e Stefano Sacchi.
Continuità dell’impiego, salari adeguati, stato sociale. Tre “argini” importantissimi per contenere il fenomeno della precarietà, crollati i quali non resta che constatare quanti e chi siano, oramai, i precari in Italia, proponendo riforme precise per “aggredire” il fenomeno su tutti e tre i fronti, appunto, carriere, salari e welfare.
Questo il tema di “Flex-insecurity”, un libro edito da Il Mulino (per la collana Studi e Ricerche) e curato da Fabio Berton, Matteo Richiardi e Stefano Sacchi. Il volume pone in primo piano – già nel sottotitolo – una domanda chiave: perché in Italia la flessibilità diventa precarietà ? Per il modo – questa la tesi degli autori – in cui la flessibilità stessa è stata introdotta. E le cose, con la crisi economica, rischiano di peggiorare ulteriormente, portando a una “deflagrazione del fenomeno”. Non solo: accanto a lavoratori atipici niente affatto precari, sono sempre di più i lavoratori a tempo pieno e indeterminato che, dal punto di vista sostanziale, possono essere definiti come precari.
Qualche numero: in Italia, notano gli autori, a non avere accesso ad alcuna forma strutturata di sostegno al reddito in caso di perdita del posto di lavoro erano la totalità dei parasubordinati, la gran parte dei lavoratori a termine e – questo il dato meno discusso – oltre il 10 per cento degli stessi lavoratori a tempo indeterminato. In pratica almeno 3,2 milioni di lavoratori, oggetto di recenti interventi da parte dell’esecutivo (una tantum per apprendisti e atipici, estensione della cassa integrazione in deroga).
È sufficiente? No, secondo gli autori, per i quali gli interventi in campo sono ancora poca cosa rispetto alla riforma complessiva della materia che l’introduzione della flessibilità “avrebbe richiesto”. Ancora ampia, infatti, anche alla luce delle norme introdotte, risulta la platea degli esclusi: tra il milione e mezzo e i 2 milioni di lavoratori, a seconda degli scenari considerati e in funzione del diverso contributo che potrà derivare dagli accordi con le regioni. Anche chi ha diritto alle varie una tantum e indennità “in deroga”, vedrà peraltro esaurirsi queste risorse molto presto, mentre la crisi occupazionale – avvertono gli autori – non si annuncia breve, con il risultato che da qui a pochi mesi la platea di lavoratori totalmente “privi di reddito” potrà diventare imponente, “quando anche i lavoratori che riescono ad accedervi esauriranno il diritto alle prestazioni”.
Diverse le concrete proposte di riforma suggerite dagli autori, dalla contribuzione unica al salario minimo, dall’indennità di terminazione alla tanto decantata quanto urgente (e ancora, a loro avviso, inattuata) riforma complessiva degli ammortizzatori sociali. L’obiettivo? Trasformare gli ammortizzatori sociali da privilegio di pochi a diritto di tutti, tramite una reale “flexicurity”, un neologismo di moda in Europa, da qualche anno, che consiste nel coniugare flessibilità e sicurezza tramite strategie politiche adeguate. Un concetto ambizioso che per il momento, in Italia, non trova riscontro nella realtà.
Fabio Berton è ricercatore presso il LABORatorio Revelli del Collegio Carlo Alberto di Torino e assegnista di ricerca in Statistica economica nel Dipartimento di Politiche pubbliche e Scelte collettive dell’Università del Piemonte orientale. Matteo Richiardi è ricercatore in Economia politica nell’Università Politecnica delle Marche e responsabile dell’Unità di microsimulazione del LABORatorio Revelli del Collegio Carlo Alberto di Torino. Stefano Sacchi è ricercatore in Scienze politiche all’Università di Milano e Acting director dell’Unità di ricerca sulla governance europea (U.r.g.e.) del Collegio Carlo Alberto di Torino.